L'incalcada - Sezione Alpini Treviso

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L'incalcada

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I racconti di Valentino Morello
L'incalcada



Gli successe proprio mentre cercava le brise e questo gli seccava ancor di più, a Giulio Scopetòn, azzoppato da una incalcada nell’uscir dal bosco, nell’ombra umida, dove gli pareva di aver visto un brisòt sotto un vecchio ceppo. Lì per lì non ci fece caso, la delusione per il brisòt, che non c’era, fu più grande del fastidio del piede e poi, con tutta la strada che avevano fatto dalla mattina presto, i piedi avevano anche diritto di far male.
Fu a casa, verso sera, che il piede cominciò a fargli male davvero.
Rinunciò alla bevuta in osteria e si infilò a letto. Durante la notte dovette alzarsi per far pipì, ma lo fece saltellando sulla gamba sana.
Il giorno dopo, il piede pareva un cocomero, gonfio com’era e guai solo a toccarlo, a muoverlo! Addio brise dei boschi, addio partenze prima del sorgere del sole, nell’erba molle di rugiada, addio silenzio profumato di resina e di funghi!
Giulio Scopetòn si avvilì in casa per quasi due giorni, poi, incoraggiato dalla moglie (che temeva le crollasse il tetto sulla testa, con tutte le bestemmie che tirava) uscì in paese, zoppicando come se gli avessero segato via la gamba intera. Nel breve percorso dalla casa all’osteria incontrò almeno dieci comari e altrettanti compari e ognuno lo commiserava, offrendo consigli e rimedi “assolutamente sicuri”.


Giulio Scòpeton va all'osteria

Gli amici dell’osteria, poi, furono i “guaritori” più appassionati; due di loro fecero addirittura a botte per affermare la bontà delle loro cure e, benché separati in tempo, continuarono a rognarsi per tutta la sera.
Il giorno dopo, e per tutta una settimana, la casa di Giulio Scopetòn fu un via-vai di gente che portava i più strampalati cataplasmi: così che un giorno il povero Giulio dovette spalmarsi di bianco d’uovo, un giorno ungersi di olio e di malva, un altro frizionarsi di grappa e ortiche, un altro ancora fare impacchi caldi fino a ustionarsi, alternati ad altri ghiacciati da togliere il fiato.
Alla fine dei trattamenti il piede puzzava di uovo, aglio, olio, malva, rosmarino, camomilla, grappa e naturalmente, di piede; comunque, era sempre gonfio e faceva male.
Della necessità di interventi risolutivi fu convinto da un amico d’infanzia, che abitava nel paese vicino.
"Vien co mi, che te compagno dal giusta-oss."
Il “giusta-oss” fu una piacevole sorpresa, dato che Maria Conza era una bionda poco sopra i trenta, polposa dappertutto, di cui si diceva un gran bene. Non c’era dubbio che fosse brava anche a guarire “incalcade”, almeno a giudicare dalla assiduità con la quale Giulio Scopetòn veniva in paese “a farse tirar i oss”, ed infatti, il piede malato guarì sicuramente abbastanza presto ma, subito dopo, toccò all’altro piede di “incalcarsi”.
Povero Giulio Scopetòn, zoppo, ora da un piede, ora dall’altro!
E pareva avesse pestato la coda al diavolo, il poveraccio, perché non appena ricominciò a camminare diritto, gli andò fuori una spalla per un colpetto da niente che aveva preso… Come si sarebbe ridotto se non ci fossero state le abili cure della Maria Conza?
Perseguitato da una incredibile sfortuna, Giulio Scopetòn si lussò i polsi non so quante volte, la spalla e le braccia almeno altrettante, si incalcò piedi e ginocchia e mani in continuazione; quello che sorprendeva era il suo coraggio, la maniera disinvolta con cui sopportava le sue disgrazie, il buon umore che, nonostante tutto, riusciva a conservare.
Una sera, non potendone più per via di un gran brutto “senestro” alla schiena, bussò alla porta della Maria Conza; ma al posto della polposa bionda, gli venne ad aprire un giovanotto rosso di pelo.
"Cossa votu?" gli soffiò sul muso il rosso.
"Ge-gero venuo per il massajo…" balbettò Giulio Scopetòn.
"Adess te massajo mi!" grugnì il rosso, che aveva due mani come due mazze.
Ritrovarono Giulio Scopetòn vicino a un fosso, quasi affondato in un mucchio di ortiche, pestato come un baccalà.
"Ahiahiahiahiahi!" fu l’unica cosa che riuscì a dire quando cercarono di tirarlo su: stavolta, qualche ossicino fuori posto ce l’aveva davvero.
"Poro Giulio! Varda in che stati che el xe ridoto! Portemolo da la Maria, che lo meta a posto!"
"Par l’amore de Dio! – bisbigliò affannosamente Giulio Scopetòn – porteme in ospeàl!"

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